Nuove applicazioni potenziali dal gruppo di ricerca della professoressa Patrizia Fava (Unimore)

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Acrilammide: un approccio integrato per la mitigazione nel bakery
Ridurre il contenuto di acrilammide attraverso strategie integrate di mitigazione che tengano conto dell’accettabilità del prodotto finito e dell’applicabilità in contesti produttivi reali. È l’approccio adottato dal gruppo di ricerca della professoressa Patrizia Fava (Unimore)

Di acrilammide si discute da diversi anni e nell’ultimo periodo il tema sta tornando di attualità in virtù della possibilità che la regolamentazione europea in materia possa diventare più restrittiva.

L’acrilammide è un contaminante di processo di grande interesse per il mondo alimentare, ed è classificata fin dal 1994 come appartenente al gruppo 2A (che comprende i probabili cancerogeni umani), oltre che da tempo nota per gli effetti genotossici. A parlarci di questa tematica è la professoressa Patrizia Fava, del Dipartimento di scienze della vita dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

Patrizia Fava si occupa da tempo di acrilammide. Il gruppo di lavoro, di cui fanno parte anche il professor Andrea Antonelli, il dottor Giuseppe Montevecchi e la dottoressa Emanuela Lo Faro, fa capo al Centro Interdipartimentale Biogest - Siteia (Dipartimento di Scienze della Vita – UNIMORE) e conduce ricerche che riguardano lo studio di strategie combinate per la riduzione dell’acrilammide nei prodotti bakery e, in particolare, nei biscotti.

biscotti
Il contesto normativo e lo stato dell’arte

L’attuale regolamentazione relativa all’acrilammide si fonda principalmente sul principio del ALARA (As Low As Reasonably Achievable), in base al quale i produttori di alimenti più coinvolti dovrebbero adottare tutti quegli accorgimenti di ricetta (lista degli ingredienti) e di processo (espedienti tecnologici) atti a ridurne il contenuto. L’UE ha inoltre definito dei valori benchmark per specifiche categorie di alimenti, che sono elencati nel Regolamento 2017/2158 in cui sono anche indicate le misure di mitigazione che potrebbero essere impiegate” racconta Patrizia Fava.

L’attenzione del mondo produttivo è tuttavia di gran lunga precedente al pronunciamento normativo del 2017. Infatti, già pochi anni dopo la scoperta del contaminante in alcuni alimenti (Svezia 2002), iniziò da parte dell’associazione FoodDrinkEurope la pubblicazione di schede, denominate Toolbox (l’ultima edizione è del 2019), in cui si raccolgono informazioni in merito all’acrilammide e all’approccio integrato per perseguire la sua riduzione in selezionate categorie di prodotti. Tale approccio focalizza l’attenzione sulla selezione delle materie prime e sullo sviluppo di ricette e processi. “A proposito di selezione delle materie prime – spiega Fava – l’attenzione si focalizza sul loro contenuto di asparagina, aminoacido precursore della formazione di acrilammide. Ovviamente il contenuto di asparagina nella materia prima ‘farina’ non è facilmente controllabile, anche se specifici interventi agronomici possono contribuire alla sua riduzione. Se spostiamo l’attenzione sulla ricetta, le cose si complicano ulteriormente, poiché ingredienti di massa (come farine e zuccheri), nonché ingredienti minori come gli agenti lievitanti, possono contribuire in misura diversa alla formazione di acrilammide”.

Fava sottolinea anche che esiste la possibilità di eliminare l’asparagina presente nelle ricette tramite l’impiego dell’enzima asparaginasi che, come dice il nome stesso, attacca e demolisce selettivamente questo aminoacido, eliminando quindi il maggiore precursore del contaminante. “Sebbene questo trattamento – precisa – sia efficace nella stragrande maggioranza dei casi, è stato però limitato da un recente pronunciamento del Mipaff (Nota del 13/11/ 2020 Prot. 9313692) che vieta l’utilizzo dell’enzima asparaginasi nei prodotti biologici, se derivato da microrganismi GM. Quindi, le strategie di mitigazione dell’acrilammide non possono trascurare l’approccio integrato di selezione di materie prime, ricetta e processo”.

Dalla ricetta alla cottura: combinare strategie di mitigazione

Nel costruire un approccio integrato alla mitigazione dell’acrilammide, gli studi del team di ricerca guidato da Patrizia Fava hanno preso in considerazione una serie di parametri che influenzano la formazione del contaminante, in particolare nei biscotti. Tra questi, il contenuto di zuccheri riducenti (fruttosio e glucosio, per esempio), che reagiscono con l’asparagina formando acrilammide, così come l’impiego di determinati agenti lievitanti. Si è visto, infatti, che la lievitazione biologica tende a ridurre il contenuto di asparagina, mentre l’impiego di bicarbonato di ammonio o altri agenti chimici, crea condizioni favorevoli alla sua formazione. Infine, occorre considerare il processo di cottura: le variabili che incidono maggiormente sono le temperature elevate, il tempo prolungato e le condizioni di scarsa umidità all’interno del forno. Anche la tipologia di riscaldamento, statico o ventilato, incide sul contenuto finale di acrilammide nei prodotti.

biscotti

Tre anni fa – prosegue Fava – siamo stati contattati da un’azienda che produce biscotti per la prima infanzia, con la quale abbiamo iniziato a lavorare per combinare diverse pratiche di mitigazione. Nello specifico, il nostro approccio ha previsto una riduzione delle temperature, l’introduzione del vapore in una precisa fase della cottura e la sostituzione di parte del bicarbonato d’ammonio con un altro agente lievitante. I risultati ottenuti hanno mostrato una riduzione del contenuto di acrilammide tra l’80 e il 90 per cento. Ora stiamo procedendo nel lavoro, selezionando farine alternative e valutando anche miscele di farine. La farina di riso, per esempio, è molto promettente, in quanto contiene naturalmente un basso tenore di asparagina. Ultimamente, inoltre, abbiamo anche lavorato sull’acidificazione degli impasti che, pensiamo, possa creare condizioni sfavorevoli alla formazione di acrilammide”.

Un approccio vicino all’industria

L’approccio di ricerca e di applicazione utilizzato da Fava e colleghi, prevede una valutazione dell’intero processo produttivo del prodotto e della lista degli ingredienti, per lo studio mirato di piccole modifiche sia al processo che alla ricetta, in grado di produrre l’effetto desiderato di riduzione dell’acrilammide, senza snaturare la qualità percepita del prodotto (ovvero preservandone qualità sensoriali apprezzate dal consumatore che, nel caso dei biscotti, riguardano friabilità, croccantezza, sapore e colore) e anche senza la necessità di modificare troppo profondamente il processo produttivo. Il nostro approccio – commenta Fava – è molto vicino alle esigenze dell’industria, perché non prende in considerazione ipotesi troppo avveniristiche, ma soluzioni applicabili in contesti produttivi reali, senza stravolgerli. Attualmente collaboriamo sia con aziende bakery sia con industrie molitorie, non ricercando una soluzione universale, ma con percorsi costruiti caso per caso, in ottica tailor made”.

I risultati di queste sperimentazioni sono confluiti in diverse pubblicazioni scientifiche e in un Technology Report, pubblicato sul sito della Rete Alta Tecnologia dell’Emilia-Romagna. Quest’ultima raggruppa laboratori per la ricerca industriale e il trasferimento tecnologico e centri per l’Innovazione, localizzati nei tecnopoli presenti sul territorio e fornisce competenze, strumentazioni e risorse per lo sviluppo delle imprese.

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